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#Bullismo

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"Se non è prassi comune consultare i bambini sulla loro vita, allora, nelle poche occasioni in cui li consultiamo, non dovremmo essere troppo sorpresi di sentirci dire “non lo so”. La generazione del sapere e la capacità di articolare questo sapere sono sicuramente il prodotto di processi interattivi."

Le scuole come comunità di riconoscimento. Una conversazione con Michael White (parte 2) – Connessioni Web
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Connessioni Web · Le scuole come comunità di riconoscimento. Una conversazione con Michael White (parte 2)di Christopher McLean Traduzione di Enrico Valtellina

Di Michael White conosciamo il contributo a un modo di lavorare insieme ai bambini rendendoli protagonisti o, per dirla con la metafora narrativa, narratori in prima persona.
Qui parla a lungo di situazioni di “abuso tra pari”, o, come usiamo dire abitualmente, comportamenti di bullismo.

Le scuole come comunità di riconoscimento. Una conversazione con Michael White (parte 1) – Connessioni Web
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Connessioni Web · Le scuole come comunità di riconoscimento. Una conversazione con Michael White (parte 1)di Christopher McLean Traduzione di Enrico Valtellina

@csseo lo scenario principale per gli #USA è da anni l'oriente. L'Europa ha perso questa posizione. Quindi la riduziobe dei militari USA non è una delle tante smargiassate di #Trump; é una cosa logica e inevitabile. Difendere l'Europa tocca per il futuro all'Europa. Ne siamo capaci? Trump ha trasformato, con il suo solito modo di fare, l'argomento da una civile discussione a un nuovo episodio di #bullismo

L'arte di sparare sentenze: Perché nei commenti online vince l'arroganza

#Stefano
Ti sei mai chiesto perché sui social network la gente si sente in diritto di sparare sentenze senza nemmeno leggere gli articoli? Scopri come l'illusione della competenza, la polarizzazione e la rabbia online influenzano il modo in cui interagiamo. Troverai consigli su come promuovere un dialogo più sano e ri...
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L’arte di sparare sentenze: Perché nei commenti online vince l’arroganza

Ti è mai capitato di aprire un articolo di giornale sui social network e scorrere i commenti? Se la risposta è sì, avrai sicuramente notato una scena sempre più familiare: utenti che sparano sentenze lapidarie con tono sprezzante, come fossero i massimi esperti di qualsiasi argomento. Che si tratti di politica, medicina, economia o scienza, ognuno si sente in diritto di dire la propria, spesso con poche informazioni e molta, troppa sicurezza. Ma da dove viene questa spinta a ergersi a giudice supremo senza nemmeno leggere l’articolo?

La risposta non è semplice, e chiama in causa dinamiche psicologiche, sociali e culturali che rendono i social network il terreno fertile ideale per la diffusione di questo fenomeno.

1. L’illusione della competenza

Uno dei problemi centrali è l’effetto Dunning-Kruger (https://short.staipa.it/y01sq), un bias cognitivo per cui chi ha scarse competenze in un argomento tende a sovrastimare la propria conoscenza. In altre parole: meno sappiamo, più pensiamo di sapere.

Sui social network, questa illusione si amplifica per due motivi:

  • Accessibilità delle informazioni: Qualche ricerca superficiale su Google o la lettura di un titolo sensazionalistico bastano a farci sentire esperti.
  • Mancanza di confronto reale: Nei commenti online manca il dialogo faccia a faccia che solitamente ci costringe a mettere in discussione le nostre affermazioni.

L’anonimato parziale e la distanza emotiva dai destinatari della nostra comunicazione ci danno un falso senso di sicurezza: Se io lo dico, deve essere giusto, se qualcuno mi contraddice posso risopondere senza pensare alle conseguenze come quando sono di fronte a una persona reale, se la conversazione si mette male posso smettere di rispondere e far finta di nulla.

A questo va aggiunto che in una platea così ampia è molto probabile trovare almeno qualcuno che la pensi come me, ed è probabile che riceverò dei like, delle conferme, dei commenti che rafforzino la mia idea, indipendentemente dal valore reale della stessa.

Non sorprende quindi che, a seconda del caso, tutti sembrino diventare improvvisamente virologi, meteorologi, fini statisti o esperti di geopolitica, in una sorta di metamorfosi digitale dell’esperienza.

2. La polarizzazione e l’effetto echo chamber

Un altro fenomeno che alimenta questa arroganza digitale è la polarizzazione sociale. Gli algoritmi dei social network sono progettati per mostrarci contenuti in linea con le nostre opinioni e idee. Di conseguenza, siamo esposti sempre meno a opinioni diverse e ci troviamo all’interno di vere e proprie echo chambers (short.staipa.it/st5gm), dove tutto quello che leggiamo rafforza ciò che già pensiamo.

Questo non solo consolida le nostre certezze, ma rende anche più difficile empatizzare con chi la pensa diversamente. Il risultato? Un dialogo che si trasforma in scontro: chi non è d’accordo diventa un nemico da abbattere a colpi di commenti sprezzanti e aggressivi, e ci sembra ridicolo, quasi grottesco pensare che qualcuno la pensi in maniera così diversa da quello che vediamo nella nostra bolla personale.

In questo contesto, emerge anche una tendenza inquietante: colpevolizzare le vittime. Ogni tragedia diventa terreno fertile per giudizi affrettati: “Se l’è cercata”, “Ma come faceva a non saperlo?”. Che si tratti di incidenti, violenze o stupri, molti utenti trovano conforto nel dare la colpa alle vittime, forse per sentirsi meno vulnerabili di fronte alla realtà. Questo fenomeno, noto come victim blaming, o colpevolizzazione della vittima (https://short.staipa.it/wwzyz), è radicato in meccanismi psicologici di difesa come:

  • Rimozione della responsabilità personale: Attribuire la colpa alla vittima consente di rassicurarsi che eventi simili non accadrebbero a noi, poiché riteniamo di non commettere gli stessi errori.
  • Razionalezza retrospettiva (hindsight bias): La tendenza a credere che le conseguenze di un evento fossero prevedibili, portando a giudicare chi non le ha evitate come negligente o responsabile.
  • Proiezione: Giudicare duramente le vittime può essere un modo per evitare di confrontarsi con le proprie insicurezze o vulnerabilità.
  • Dissonanza cognitiva: Minimizzare la responsabilità dell’aggressore o enfatizzare gli errori della vittima può servire a ridurre il disagio che si prova di fronte a una realtà complessa e ingiusta.

3. La rabbia come valuta sociale

uesto avviene perché ricevere like e condivisioni stimola il rilascio di endorfine e dopamina nel cervello, creando una sensazione di gratificazione immediata simile a una ricompensa, che rinforza il comportamento e spinge a replicarlo. Un fenomeno ormai ben studiato e acclarato (https://short.staipa.it/3iqiu), che evidenzia come i social network attivino i circuiti di ricompensa cerebrale in maniera simile ad altre esperienze gratificanti.

Questo crea un circolo vizioso in cui esprimere un parere con arroganza e sicurezza diventa un mezzo per ottenere attenzione. Il premio non è la verità o la comprensione, ma il semplice riconoscimento sociale attraverso l’engagement.

4. Perché la rabbia? Dinamiche psicologiche

Dietro questa rabbia crescente si nasconde una profonda frustrazione. La società attuale è veloce, iperconnessa e complessa. La sensazione di non avere controllo sugli eventi porta molte persone a sfogare il proprio disagio in uno spazio virtuale.

Un commento rabbioso e sicuro serve a rassicurare se stessi: “Io so come stanno le cose, sono meglio di chiunque altro”. La verità è che questa sicurezza nasconde spesso paura e insicurezza.

5. Cosa si può fare? Verso un dialogo più sano

Cambiare queste dinamiche è complesso, ma non impossibile. Ecco alcune proposte per mitigare il fenomeno:

  • Educazione al pensiero critico: Insegnare fin da giovani a leggere, analizzare e mettere in discussione le fonti delle informazioni.
  • Frenare l’impulsività: Prima di commentare, fermarsi a riflettere: ho letto davvero l’articolo? Sto portando un contributo utile alla discussione?
  • Responsabilizzare i social network: Le piattaforme dovrebbero incentivare contenuti di qualità piuttosto che interazioni rabbiose.
  • Promuovere il confronto costruttivo: Valorizzare spazi di dialogo dove il confronto tra idee diverse è incoraggiato, non punito.

Cosa possiamo fare noi nel nostro piccolo?

Ognuno di noi, nel suo piccolo, può contribuire a un ambiente digitale più sano:

  • Prendersi tempo: Leggere davvero l’articolo, verificare le fonti e non fermarsi ai titoli.
  • Praticare l’empatia: Mettersi nei panni di chi è coinvolto e riflettere prima di giudicare.
  • Segnalare contenuti tossici: Quando ci imbattiamo in commenti offensivi o disinformazione, segnalare può fare la differenza.
  • Incentivare il buon esempio: Rispondere con gentilezza e rispetto anche a chi sembra provocare.
  • Uscire dalle camere dell’eco: Cercare fonti e opinioni diverse per sviluppare un pensiero critico più ampio.

Conclusione: Un commento non è una sentenza

La prossima volta che ti troverai a commentare un articolo online, fermati un momento. Leggi, rifletti, e chiediti: sto aggiungendo qualcosa alla discussione o sto solo dando sfogo alla mia frustrazione? La differenza è enorme, e lo dico anche a me stesso.

Dietro ogni titolo di giornale, ogni post e ogni argomento, c’è una complessità che merita rispetto. Scegliere di commentare con curiosità e apertura, anziché con arroganza e rabbia, è un piccolo passo che possiamo fare per costruire un dialogo migliore.

Forse è ora di smettere di sparare sentenze e tornare a fare ciò che in fondo dovremmo fare tutti: informarci, ascoltare e, solo dopo, parlare.

consigli di lettura su wattpad (19)
https://tinyurl.com/giuliagui


NEL DUBBIO TI DICO DI SÌ (storia completa)
https://wattpad.com/story/178202326-nel-dubbio-ti-dico-di-s%C3%AC

CIÒ CHE LA LUCE NASCONDE (storia in corso)
https://wattpad.com/story/295716425-ci%C3%B2-che-la-luce-nasconde

Pare il tempo che corra, che trotti
quando leggonsi storie avvincenti,
come quelle di Giulia Guidotti
ch'hanno pagine e pagine ardenti,
che trasudan passione a ogni rigo!
Dove leggerle? A dirlo mi sbrigo,
22 di novembre io addì:
sia NEL DUBBIO TI DICO DI SÌ
ch'anche CIÒ CHE LA LUCE NASCONDE
son su Wattpad e ormai si diffonde
la lor fama al di fuori puranche.
Che aspettate? Muovete le cianche!

#Wattpad #amore #Medicina #scrivere #sentimenti #Bologna #santorsola #scuola #bullismo #giallo

Nel modenese una 15enne di origine marocchina sceglie di togliere il in accordo con la famiglia: subisce da tre compagne di scuola.
Un caso che fa riflettere sulla diffusione del conformismo bigotto islamico anche in Italia.👇
ilfattoquotidiano.it/2024/11/0

Il Fatto Quotidiano · Modena, 15enne denuncia tre coetanee: “Ho tolto il velo, mi hanno perseguitata, offesa e…Di F. Q.

Una studentessa di 15 anni di origini marocchine, residente nella Bassa modenese, è stata vittima di da parte di tre compagne di scuola dopo aver deciso di togliersi il velo. La ragazza aveva condiviso questa scelta con la sua famiglia e si era sentita più a suo agio senza il velo. Tuttavia, alcune sue coetanee non l’avevano accettata e avevano iniziato a isolarla e a vessarla. , pmcomunicazione.com/bullismo-a

EMMEGI INTERNATIONAL REPORTERS FREELANCE PRESS AGENCY · Bullismo a 15enne marocchina nel modeneseUna studentessa di 15 anni di origini marocchine, residente nella Bassa modenese, è stata vittima di bullismo da parte di tre compagne di scuola dopo aver deciso di togliersi il velo.

Elogio della diversità

staipa.it/blog/elogio-della-di

Negli scorsi giorni sono stato colpito dal discorso di Winona Rider per i festeggiamenti per la mattonella di Tim Burton sulla Hall Of Fame

Tim, la tua amicizia è stata un dono immenso. Quando ti ho incontrato, ero una ragazzina strana. Mi hai dato fiducia in me stessa, mi hai mostrato che si può and...