Ci sono momenti che ti restano addosso, anche se sembrano piccole cose.
Mio figlio inizierà a lavorare in una birreria.
È un ragazzo trans, e avrebbe voluto raccontarsi con calma, nel tempo, magari davanti a un caffè o una birra, a viso aperto.
Invece la burocrazia ha bussato prima: documenti, dati anagrafici ancora legati alla sua vita di nascita — non a quella che io chiamo di rinascita.
Così si è trovato costretto a parlarne prima del previsto.
E la risposta che ha ricevuto è stata semplice, naturale, umana.
Accogliente, come dovrebbero essere tutte le risposte.
"Per me non è un problema, se non lo è per te, non lo è per nessuno."
E ci siamo quasi commossi.
Perché, a pensarci bene, dovrebbe essere la normalità.
E invece ci sorprende, come una carezza improvvisa.
Per questo ho deciso di raccontarlo.
Perché spesso si parla solo di odio, discriminazione, ignoranza.
Ma anche quando il rispetto accade, merita spazio.
Anzi, forse ancora di più.
Perché il rispetto non è un premio, è il minimo.
E quando c’è, va custodito, raccontato, condiviso.
Spero che ogni ragazza e ogni ragazzo trans possano trovare la stessa serenità.
Non una “inclusione”, ma la semplice certezza di essere considerati per quello che sono.
Come se dicessero: "mi piace il rosso", oppure "sono mancino."
Un dato di fatto. Nessuna spiegazione da dare. Nessuna approvazione da chiedere.
Ecco, vorrei che il mondo funzionasse così.
Semplicemente.

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