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#archeologia

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𝐒𝐭𝐮𝐝𝐢 / 𝐎𝐥𝐢𝐯𝐨, 𝐢𝐧 𝐒𝐢𝐜𝐢𝐥𝐢𝐚 𝟑𝟕𝟎𝟎 𝐚𝐧𝐧𝐢 𝐟𝐚 𝐥𝐞 𝐩𝐫𝐢𝐦𝐞 𝐭𝐫𝐚𝐜𝐜𝐞 𝐝𝐢 𝐬𝐟𝐫𝐮𝐭𝐭𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐢𝐧 𝐈𝐭𝐚𝐥𝐢𝐚

I pollini di olivo rivelano possibili coltivazioni nella Media età del Bronzo. Lo studio delle università di Pisa, della Tuscia e Sapienza.

@unipisa @unitusviterbo @sapienzaroma

storiearcheostorie.com/2025/04

Storie & Archeostorie · Olivo, in Sicilia 3700 anni fa le prime tracce di sfruttamento in Italia
Altro da Redazione

Studi / Olivo, in Sicilia 3700 anni fa le prime tracce di sfruttamento in Italia

Redazione

Le prime tracce di sfruttamento dell’olivo in Italia da parte dell’uomo provengono dalla Sicilia e risalgono a 3700 anni fa, in piena età del Bronzo. La testimonianza è la più antica di tutto il mediterraneo dopo quella di Malta che risale a 5000 anni fa. A rivelarlo è uno studio pubblicato su Quaternary Science Reviews  e condotto dalle università di Pisa, della Tuscia e Sapienza di Roma.  

Pollini di olivo sul sito di Pantano Grande

Le indagini hanno riguardato in particolare il sito di Pantano Grande, un’area paludosa vicino Messina. I carotaggi eseguiti in questa zona hanno restituito una sequenza continua di sedimenti di circa 3700 anni. L’analisi al microscopio ha rivelato quantità eccezionalmente elevate di polline di olivo già nella Media età del Bronzo, il che suggerisce una massiccia presenza di questi alberi e la loro possibile gestione attiva da parte delle popolazioni.  

I carotaggi nella zona Pantano Grande, un’area paludosa vicino Messina (foto: UniPisa).

Secondo la ricerca, l’olivo selvatico era sfruttato in modo sistematico non solo per la produzione di olio. Il legno era utilizzato come combustibile o materiale da costruzione, e le foglie servivano come foraggio per gli animali. Anche se non si trattava ancora di una vera e propria coltivazione, la sua presenza intensiva nel paesaggio suggerisce un intervento umano consapevole e mirato.  

L’importanza delle coltivazioni in epoca romana

Dopo l’Età del Bronzo, lo studio identifica altre due fasi di propagazione dell’olivo collegate a momenti chiave della storia culturale e politica della Sicilia. In epoca romana (dal II secolo a.C. al III secolo d.C.) le evidenze archeologiche e paleobotaniche convergono: il polline di olivo è associato a reperti come anfore o presse per l’olio e tutto fa pensare ad una vera e propria coltivazione. In epoca moderna (Regno di Sicilia, XIII–XIX secolo) si assiste a una nuova espansione dell’olivo. Come testimonia la documentazione storica siamo di fronte ad una olivicoltura in senso moderno, non più una gestione del selvatico. 

Interazione tra uomo e ambiente

“Il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Ateneo pisano ha contribuito al recupero e alla datazione delle carote sedimentarie, alla validazione dei dati geochimici e all’interpretazione dei risultati alla luce dell’analisi paleoambientale e climatica del sito”, racconta la professoressa Monica Bini, coautrice dell’articolo insieme al collega Giovanni Zanchetta. 

“Abbiamo adottato un approccio fortemente interdisciplinare per indagare l’evoluzione storica, ecologica e culturale degli olivi in Sicilia orientale – conclude Zanchetta – questa sinergia tra scienze naturali e discipline umanistiche ci ha consentito di ricostruire le dinamiche a lungo termine dell’interazione tra uomo e ambiente, evidenziando come fattori culturali, climatici e commerciali abbiano modellato il paesaggio olivicolo. L’espansione degli olivi non è spiegabile solo con condizioni ambientali favorevoli, ma è piuttosto il risultato di scelte antropiche, pratiche agricole, e reti di scambio che hanno attraversato i millenni”. 

Per saperne di più:

Fonte: UniPisa

Egitto, nuove scoperte al Ramesseum di Luxor: dagli scavi emergono tombe e una “Casa della Vita”

Redazione

Ancora novità dall’Egitto. La missione archeologica congiunta franco-egiziana, composta dal Settore per la Conservazione e la Registrazione dei Beni Archeologici del Consiglio Supremo delle Antichità, dal Centro Nazionale Francese per la Ricerca e dall’Università della Sorbona, ha effettuato nuove scoperte nei pressi del Ramesseum, sulla sponda occidentale di Luxor. I ritrovamenti gettano nuova luce sul ruolo religioso, sociale ed economico rivestito dal tempio funerario di Ramses II, uno dei monumenti più noti e significativi dell’antico Egitto durante il Nuovo Regno.

(C)Ministry of Tourism and Antiquities

Tombe, depositi e cantine per il vino

Tra le scoperte più rilevanti spicca la serie di tombe risalenti al Terzo Periodo Intermedio (circa 1070-664 a.C.), situate nella zona nord-orientale del tempio. Queste tombe presentano camere e pozzi funerari con vasi canopi e oggetti rituali ben conservati, oltre a sarcofagi inseriti uno dentro l’altro e ben 401 statuette ushabti in terracotta. All’interno sono stati trovati anche cumuli di ossa sparse. Nella parte settentrionale sono riemersi depositi utilizzati per conservare olio d’oliva e miele. Ci sono anche diverse cantine per il vino, dove sono state rinvenuti numerosi resti di anfore.

(C)Ministry of Tourism and Antiquities

Nella zona orientale, gli scavi hanno invece rivelato la presenza di edifici probabilmente adibiti a uffici amministrativi. Le aree circostanti erano disseminate di laboratori per la tessitura e la lavorazione della pietra, cucine e forni. Il tutto testimonia la vivacità economica del sito e la sua varietà di funzioni.

La “Casa della Vita”

Uno dei ritrovamenti più interessanti è la “Casa della Vita”, una sorta di scuola annessa al tempio, finora “inedita” all’interno del Ramesseum. Non solo è stato possibile delinearne la struttura architettonica. Sono però emersi anche resti di disegni e giochi, prove che il Tempio ospitasse anche una scuola o centro di formazione per scribi e funzionari.

(C)Ministry of Tourism and Antiquities

Restauri e ulteriori scoperte

Nel Ramesseum la missione archeologica ha anche riportato alla luce la tomba di “Sahteb Aib Ra”, situata nella zona nord-occidentale del tempio, già scoperta dall’archeologo inglese Quibell nel 1896 e risalente al Medio Regno. Le sue pareti, decorate con scene funerarie, sono state studiate e restaurate. Inoltre, sono stati completati anche i restauri della parte meridionale della sala delle colonne fino al “sancta sanctorum” insieme al primo cortile. Qui gli esperti hanno rimontato i frammenti della statua di Tuia, madre di Ramses II, e li hanno riposizionati vicino alla statua del faraone. Anche le gambe della colossale statua di Ramses II sono state restaurate e riposizionate sulla base originale.

(C)Ministry of Tourism and Antiquities

Nella zona del secondo pilone, inoltre, è riemerso un frammento di architrave in granito raffigurante Ramses II divinizzato davanti ad Amon-Ra, oltre ai resti di un cornicione con fregi raffiguranti scimmie. Gli scavi lungo le vie processionali hanno riportato alla luce anche diverse statue del dio Anubi.

Un tempio dai mille volti

(C)Ministry of Tourism and Antiquities

Il ministro del Turismo e delle Antichità, Sherif Fathy, ha elogiato gli sforzi compiuti dalla missione per svelare nuovi segreti del Ramesseum e corroborarne il ruolo nella società egizia antica. Mohamed Ismail, segretario generale del Consiglio Supremo delle Antichità, ha sottolineato l’importanza di questi ritrovamenti: “Il Ramesseum non era solo un luogo di culto, ma un centro amministrativo ed economico che redistribuiva i prodotti agli abitanti, a cominciare dagli artigiani di Deir el-Medina”. Ha aggiunto che il sito, già occupato prima della costruzione del tempio da Ramses II, fu riutilizzato come necropoli sacerdotale dopo aver subìto diversi saccheggi, per essere infine utilizzato come cava durante i periodi tolemaico e romano.

(C)Ministry of Tourism and Antiquities

Hisham El-Leithy, responsabile egiziano della missione, ha annunciato che i lavori proseguiranno nella speranza di effettuare ulteriori scoperte. Dal canto suo Christian Leblanc, capo della parte francese della missione, ha ricordato il restauro del palazzo reale adiacente al primo cortile, che ha permesso di ricostruirne la struttura originale, con sale di ricevimento e la stanza del trono.

Una missione che dura da 34 anni

Attiva dal 1991, la missione egiziano-francese continua a esplorare e restaurare il Ramesseum, confermandone l’importanza per la storia egizia. Le scoperte finora effettuate arricchiscono le nostre conoscenze sul passato egizio e confermano il valore del tempio come patrimonio storico universale.

Secondo gli archeologi, nell'antica Troia il consumo di vino non era limitato all'élite reale

Fin dalla sua scoperta durante gli scavi di Heinrich Schliemann nella leggendaria Troia, il depas amphikypellon - un calice cilindrico con due manici ricurvi che si ritiene essere il calice citato nell'epopea di Omero - è stato considerato un potenziale recipiente per bere vino...

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Ancora ritrovamenti a Pompei.
Dallo scavo della necropoli di Porta Sarno spunta il rilievo funebre di una coppia di sposi. La donna, raffigurata con un fascio di spighe, potrebbe essere una sacerdotessa di Cerere, dea della fertilità.
Il rilievo, databile tra il II e il I secolo a.C., sarà esposto nella mostra "Essere donna nell’antica ,” in apertura il 16 aprile.

I dettagli su @storieearcheostorie
@pompeii_parco_archeologico

storiearcheostorie.com/2025/04

Storie & Archeostorie · Pompei, spunta il rilievo funebre di una coppia a Porta Sarno
Altro da Elena Percivaldi

Pompei, nella necropoli di Porta Sarno spunta il rilievo funerario di una coppia di sposi: “Lei forse era una sacerdotessa di Cerere”

Elena Percivaldi

Uno splendido rilievo funebre di una coppia, scolpito a dimensioni quasi reali, è emerso dagli scavi nella necropoli di Porta Sarno a Pompei, nell’ambito del progetto “Investigating the Archaeology of Death in Pompeii” condotto dall’Universitat de València con il Parco Archeologico, sotto la direzione del professor Llorenç Alapont. Le due figure ad alto rilievo, trasferite nella Palestra Grande per il restauro, saranno protagoniste della mostra “Essere donna nell’antica Pompei,” in apertura il 16 aprile 2025, dove i visitatori potranno assistere live agli interventi di conservazione.

Particolare del volto dell’uomo (Foto ©Alfio Giannotti)

La scoperta risale alle indagini iniziate a luglio 2024 in un’area già scavata negli anni ‘90 per la Circumvesuviana, che aveva rivelato oltre 50 sepolture a cremazione. Ora, il team ha portato alla luce una tomba monumentale: un muro con nicchie sormontate dal rilievo di un uomo e una donna, forse sposi. La donna, raffigurata con un fascio di spighe, potrebbe essere una sacerdotessa di Cerere, dea della fertilità. La qualità arcaica dell’intaglio data il reperto al periodo tardo repubblicano, tra il II e il I secolo a.C.

La coppia di Porta Sarno (Foto ©Alfio Giannotti)Particolare della spiga (Foto ©Alfio Giannotti)

Un tesoro dalla necropoli

“Questa campagna amplia la conoscenza dell’area extra moenia di Pompei,” spiega Gabriel Zuchtriegel, direttore del Parco Archeologico. “La collaborazione con Valencia, già fruttuosa con la tomba di Marco Venerio Secundio, ha coinvolto archeologi, restauratori e antropologi in un progetto multidisciplinare.” I dettagli dello studio sono pubblicati oggi sull’E-Journal degli scavi di Pompei, a firma di Alapont e del suo team.

Il rilievo funebre di Porta Sarno (Foto ©Alfio Giannotti)

Il rilievo, alto circa 1,70 metri, mostra una cura straordinaria nei dettagli: la donna indossa una tunica con pieghe scolpite e porta simboli legati al culto agrario, mentre l’uomo, in toga, potrebbe essere il suo compagno o un dignitario. “La datazione al tardo repubblicano e il simbolismo suggeriscono un’élite locale,” nota Alapont. La tomba, con il suo arco e le stele, si affianca ai reperti delle oltre 50 sepolture già note, arricchendo la storia della necropoli.

Restauro in diretta e mostra

Le sculture, fragili ma ben conservate, sono state trasferite con cura per evitare danni. Dal 16 aprile, nella Palestra Grande, i restauratori lavoreranno sotto gli occhi del pubblico, un esperimento di “archeologia partecipata” che promette di affascinare i visitatori. La mostra “Essere donna nell’antica Pompei” esplorerà il ruolo femminile nella società romana, con il rilievo come pièce de résistance.

Per saperne di più:

𝐌𝐔𝐒𝐄𝐈 | 𝐀𝐢𝐝𝐨𝐧𝐞 (𝐄𝐧𝐧𝐚), 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐨 𝐥𝐨𝐨𝐤 𝐩𝐞𝐫 𝐥𝐚 𝐒𝐚𝐥𝐚 𝐝𝐢 𝐀𝐝𝐞 𝐞 𝐠𝐥𝐢 𝐀𝐜𝐫𝐨𝐥𝐢𝐭𝐢: 𝐮𝐧 "𝐫𝐢𝐭𝐨𝐫𝐧𝐨 𝐬𝐚𝐜𝐫𝐨" 𝐚𝐥 𝐦𝐮𝐬𝐞𝐨 𝐬𝐢𝐜𝐢𝐥𝐢𝐚𝐧𝐨

Nuovo allestimento per Ade, Demetra e Kore, tre preziose statue ritornate "a casa" dagli Usa dopo anni di battaglie diplomatiche.

storiearcheostorie.com/2025/03

Storie & Archeostorie · Aidone, nuovo look per la Sala di Ade e gli Acroliti del Museo
Altro da Mario Galloni

Aidone (Enna), nuovo look per la Sala di Ade e gli Acroliti: un “ritorno sacro” al museo siciliano

Mario Galloni

La Sala degli Acroliti e di Ade nel Museo Regionale di Aidone, in provincia di Enna, si rifà il look con un allestimento che celebra il ritorno in Sicilia di tre capolavori dell’arte greca: la testa di Ade (2016) e le statue di Demetra e Kore (2009), restituite dal John Paul Getty Museum di Malibù dopo anni di battaglie diplomatiche. Un nuovo scenario ricrea l’atmosfera sacra dei santuari arcaici (VI secolo a.C.) ed ellenistici (III secolo a.C.), con un sacello per gli acroliti, una vestizione firmata Marella Ferrera, luci suggestive e musica di sottofondo.

“Il museo non è più solo custode di bellezza, ma simbolo di legalità,” ha dichiarato Francesco Paolo Scarpinato, assessore ai Beni culturali della Regione Siciliana. La testa di Ade, trafugata negli anni ’70 e riconosciuta grazie ai riccioli ritrovati ad Aidone, torna al centro della narrazione, ospitata in una teca sponsorizzata dall’International Inner Wheel Italia Distretto 211. Insieme a lei, le Dee Demetra e Kore, anch’esse sottratte illegalmente, trovano una collocazione che esalta la loro sacralità.

Ad Aidone un ritorno che “parla” di giustizia

La storia del rientro dei reperti è un’epopea di indagini e diplomazia. La testa di Ade, esposta a Malibù fino al 2016, fu collegata a riccioli custoditi nei depositi di Aidone grazie alle archeologhe Serena Raffiotta e Maria Lucia Ferruzza. “È stato un puzzle risolto con tenacia,” raccontano. Le statue di Demetra e Kore, trafugate da Morgantina e restituite nel 2009, completano il trio. “Oggi raccontiamo il viaggio dal furto al ritorno,” aggiunge Scarpinato, sottolineando il ruolo del museo come monito contro il traffico di beni culturali.

Il nuovo allestimento, curato dal Parco archeologico di Morgantina e della Villa Romana del Casale, trasforma la sala in un’esperienza immersiva. Le statue, vestite dalla stilista siciliana Marella Ferrera con tessuti che evocano l’antichità, sono illuminate da luci soffuse che ne esaltano i dettagli. “Abbiamo voluto ricreare il misticismo del santuario,” spiega Carmelo Nicotra, direttore del Parco. Una musica ambientale completa l’atmosfera, mentre la teca di Ade, con i riccioli ricongiunti, diventa il fulcro emotivo.

Una rete per la valorizzazione

“Questo risultato è frutto di una sinergia tra pubblico e privato,” afferma Nicotra. La collaborazione con Inner Wheel e il contributo di Ferrera hanno reso possibile un progetto che va oltre l’esposizione, promuovendo Aidone come meta culturale. Al piano terra, la Dea di Morgantina—altra icona del museo—completa l’offerta.

La sala rinnovata è solo un omaggio all’arte greca, ma anche un ponte tra passato e presente, dove la bellezza si intreccia alla lotta per la legalità. Un motivo in più per visitare Aidone, scrigno di tesori siciliani.

𝐏𝐚𝐝𝐨𝐯𝐚, dagli scavi nel Chiostro dei Canonici emerge un 𝐞𝐝𝐢𝐟𝐢𝐜𝐢𝐨 𝐚𝐛𝐬𝐢𝐝𝐚𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐈𝐕 𝐬𝐞𝐜𝐨𝐥𝐨: è la 𝐩𝐫𝐢𝐦𝐚 𝐜𝐚𝐭𝐭𝐞𝐝𝐫𝐚𝐥𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐜𝐢𝐭𝐭à?

Tombe nobili, mosaici e una domus romana: conclusi i lavori tra Battistero e Cattedrale. Presto aperti al pubblico

I dettagli e le foto su @storieearcheostorie

Foto: @soprintendenza_pd_vemet

storiearcheostorie.com/2025/03

Storie & Archeostorie · Scavi a Padova svelano un'abside: è la cattedrale del IV secolo?
Altro da Elena Percivaldi

Padova, dagli scavi nel Chiostro dei Canonici emerge un edificio absidato del IV secolo: è la prima cattedrale della città?

Elena Percivaldi

Si è concluso in questi giorni lo scavo archeologico nel “Chiostro dei Canonici,” tra il Battistero e la Cattedrale di Padova, iniziato a giugno 2024 con il sostegno del Ministero della Cultura e della Fondazione Cariparo. Diretto dalla Soprintendenza APAB di Padova sotto la guida della dottoressa Cinzia Rossignoli, l’intervento ha svelato un passato stratificato: dalle tombe medievali, a ritroso fino a un edificio absidato del IV secolo d.C., forse la più antica cattedrale patavina, fino a una domus romana sottostante. Parallelamente, il restauro di un mosaico tardo-romano, emerso negli scavi 2011-2012, consentirà presto la fruizione pubblica del sito.

© SAPAB Padova

Le indagini, prosecuzione di quelle condotte dall’Università di Padova oltre dieci anni fa, hanno documentato l’uso cimiteriale dell’area dal Medioevo all’800. Tra le sepolture spiccano due tombe a camera sovrapposte, vicine al Battistero, attribuite a nobili famiglie padovane. Un lungo muro medievale, forse parte del perimetro del chiostro originario, completa il quadro.

© SAPAB Padova

Ma è scendendo nei livelli tardo-romani che emerge il colpo di scena: due pavimenti in cocciopesto con tessere bianche e nere, coevi al mosaico del IV secolo già noto, e una muratura curvilinea che suggerisce un edificio absidato di grandi dimensioni.

© SAPAB Padova

La prima cattedrale dimenticata di Padova?

“La ristrettezza dello scavo richiede prudenza,” avverte Rossignoli, “ma potrebbe essere la prima cattedrale di Padova.” I pavimenti, alla stessa quota del mosaico decorato scoperto nel 2011, si collegano a una struttura con abside e un muro rettilineo, sopra un contesto più antico, forse una domus romana. “Le analisi in corso chiariranno il quadro,” aggiunge la direttrice, promettendo uno studio che potrebbe riscrivere le origini cristiane della città. Finanziato dal Ministero, lo scavo è stato affidato alla Ditta Malvestio di Concordia Sagittaria, la stessa che ha restaurato il mosaico.

© SAPAB Padova

Il mosaico restaurato – i lavori, come lo scavo, sono stati realizzati dalla Ditta Malvestio di Concordia Sagittaria (Ve) e diretti dalla dottoressa Elena Pettenò – , brilla ora di nuova luce. Con una cornice rosata e un tappeto centrale di tessere bianche e nere—campi ottagonali, croci stilizzate e scacchiere—richiama i motivi cristiani veneti e adriatici del IV-VI secolo. “È un gioiello pressoché integro,” sottolinea Pettenò, pronto a diventare un’attrazione per i visitatori.

© SAPAB Padova

Da scavo a museo a cielo aperto

L’area, strategica per comprendere le fasi formative della chiesa padovana, sarà presto accessibile al pubblico. “Questi luoghi sono identitari per Padova,” afferma la Soprintendenza. Gli interventi di valorizzazione, già in programma, trasformeranno il Chiostro dei Canonici in un punto di incontro tra storia e cittadini. Le tombe aristocratiche, i mosaici e l’ipotetica cattedrale offrono un viaggio dal Medioevo all’epoca romana, arricchendo il patrimonio storico e culturale della città.

Con il restauro completato e i dati in elaborazione, Padova si prepara a riscoprire le sue radici. “Un’operazione che unisce ricerca e fruizione,” conclude Rossignoli, mentre il Chiostro si candida a nuova meta per turisti e studiosi.

MOSTRE | “𝐃𝐚𝐥𝐥’𝐮𝐨𝐯𝐨 𝐚𝐥𝐥𝐞 𝐦𝐞𝐥𝐞”: 𝐚 𝐄𝐫𝐜𝐨𝐥𝐚𝐧𝐨 𝐮𝐧𝐚 𝐦𝐨𝐬𝐭𝐫𝐚 𝐫𝐚𝐜𝐜𝐨𝐧𝐭𝐚 𝐥𝐚 𝐜𝐢𝐯𝐢𝐥𝐭à 𝐝𝐞𝐥 𝐜𝐢𝐛𝐨 𝐧𝐞𝐥𝐥'𝐚𝐧𝐭𝐢𝐜𝐚 𝐑𝐨𝐦𝐚 (𝐞 𝐢𝐧 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐝𝐢 𝐨𝐠𝐠𝐢)

Fino al 31 dicembre i visitatori potranno quasi percepire i profumi di un banchetto antico.

I dettagli su @storieearcheostorie

@ercolanoscavi

storiearcheostorie.com/2025/03

FUORIPORTA
Trento / 𝐌𝐮𝐬𝐞𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐏𝐚𝐥𝐚𝐟𝐢𝐭𝐭𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐋𝐚𝐠𝐨 𝐝𝐢 𝐋𝐞𝐝𝐫𝐨 da record: 48.500 presenze nel 2024, ReLED supera i 104 mila visitatori.

📅 𝐒𝐜𝐨𝐩𝐫𝐢 𝐢 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐢 𝐚𝐩𝐩𝐮𝐧𝐭𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐢 𝐝𝐞𝐥 𝟐𝟎𝟐𝟓

@museopalafitteledro
@museomuse


storiearcheostorie.com/2025/03

Storie & Archeostorie · Museo delle Palafitte del Lago di Ledro, record di presenze ed eventi
Altro da Mario Galloni

𝐒𝐂𝐎𝐏𝐄𝐑𝐓𝐀 𝐈𝐍 𝐃𝐀𝐍𝐈𝐌𝐀𝐑𝐂𝐀 ‼️

Conoscete l'𝐞𝐥𝐦𝐨 𝐝𝐢 𝐒𝐮𝐭𝐭𝐨𝐧 𝐇𝐨𝐨? Una matrice di metallo appena 𝐬𝐜𝐨𝐩𝐞𝐫𝐭𝐚 𝐢𝐧 𝐃𝐚𝐧𝐢𝐦𝐚𝐫𝐜𝐚 potrebbe riscrivere la storia del celebre reperto, uno dei più noti e importanti dell'alto Medioevo.

✅ Tutti i dettagli, le ipotesi e le foto nell'articolo di @elenapercivaldi su @storieearcheostorie

storiearcheostorie.com/2025/03

Storie & Archeostorie · Elmo di Sutton Hoo, matrice scoperta in Danimarca riscrive la storia
Altro da Elena Percivaldi

Elmo di Sutton Hoo, una matrice scoperta in Danimarca potrebbe riscrivere la storia del celebre reperto del VII secolo

Elena Percivaldi

Può un piccolo oggetto di metallo scoperto per caso mettere in crisi teorie acquisite da tempo e, potenzialmente, riscrivere la storia di uno dei reperti archeologici più iconici (e studiati) dell’alto Medioevo? Forse sì, se il ritrovamento in questione è una placchetta di rame decorata e l’iconico reperto l’elmo di Sutton Hoo, una delle “superstar” del British Museum di Londra.

Rinvenuto nel 1939 nel Suffolk (Gran Bretagna) dentro un tumulo funerario del VII secolo, l’elmo — parte del ricchissimo corredo che accompagnava un chieftain (capo militare) di altissimo rango, forse un re guerriero, deposto in una sepoltura a nave — presenta motivi decorativi che gli studiosi hanno tradizionalmente ricollegato all’Uppland svedese.

L’archeologo Peter Pentz posa con il reperto di Tåsinge, secondo gli studiosi ricollegabile all’elmo di Sutton Hoo (Foto: John Fhær Engedal Nissen, The National Museum of Denmark).

Decorazioni eloquenti

La scoperta del piccolo stampo di rame – tecnicamente una “patrice”, ossia una contro-matrice negativa -, effettuata da un appassionato di metal detector sull’isola danese di Tåsinge, nell’arcipelago della Fionia meridionale, rimette però in discussione questa teoria. E fa pensare che le decorazioni che impreziosiscono l’elmo potrebbero essere state realizzate non in Svezia, come finora creduto, ma in Danimarca.

La ‘patrice’ da Tåsinge in Danimarca, decorata con figure simili a quelle presenti sull’iconico elmo di Sutton Hoo. Foto: The National Museum of Denmark.

La placchetta, consegnata al Museo di Svendborg e analizzata dal curatore del Museo Nazionale di Danimarca, Peter Pentz, raffigura un guerriero a cavallo e un uomo disteso sotto il destriero, un motivo che richiama da vicino una delle decorazioni presenti sull’elmo di Sutton Hoo. “Le affinità sono fortissime,” afferma Pentz.

Dettagli come il “polsino” della manica del guerriero, la sua acconciatura, la bardatura del cavallo e la spada che spunta da sotto lo scudo sono pressoché identici a quelli presenti su una placca dell’elmo britannico. Mancano invece i cinghiali o rapaci, che ritroviamo in altre placche, e che gli studiosi ritengono tipici dell’area svedese.

Il reperto, la cui scoperta è stata annunciata oggi 27 marzo, sarà esposto al Museo Nazionale Danese di Copenhagen dal 1° aprile.

Il motivo sulla ‘patrice’ di Tåsinge, Danimarca, ben evidenziato nel disegno di Mads Lou Bendtsen (foto: The National Museum of Denmark).La decorazione di Tåsinge, in questo disegno ancora più chiara (Illustrazione: Mads Lou Bendtsen, The National Museum of Denmark).

Un elmo, una storia: da Sutton Hoo a Tåsinge

L’elmo di Sutton Hoo, databile al 620-625 d.C. e per alcuni riconducibile al re anglosassone Rædwald, fu ritrovato, ridotto in frammenti, nel 1939. Le sue decorazioni — tra cui spiccano guerrieri danzanti e a cavallo — rappresentano un’eccezionale testimonianza dell’artigianato e della simbologia altomedievale. Finora gli studiosi ne hanno ricondotto le origini alla Svezia sulla base dei confronti con gli elmi di Vendel e Valsgärde. Ma ora il piccolo “timbro” di Tåsinge – largo appena 4,5 cm – sembra suggerire uno scenario diverso. “Se l’elmo fosse stato realizzato qui (in Danimarca, ndr), sarebbe sensazionale,” dice Pentz. “Significherebbe poter tracciare un legame diretto tra la Danimarca e chi lo indossava, forse un re.”

L’elmo di Sutton Hoo. Foto: The Trustees of the British Museum (licenza CC BY-NC-SA 4.0).

Una placca dell’elmo di Sutton Hoo, purtroppo non altrettanto ben conservata, sembra rafforzare quest’ipotesi. Vi si intravedono infatti alcune lineette vicino al piede del cavaliere, che insieme al bordo dello scudo dell’uomo a terra paiono corrispondere a quelle, analoghe, presenti sul reperto danese.

Motivo del guerriero a cavallo presente su una delle placche dell’elmo di Sutton Hoo. Illustrazione: Goran scattata, Wikipedia, l’enciclopedia libera licenza: CC-BY-SA

“La somiglianza è tale da suggerire che entrambi gli oggetti non solo provengano dalla stessa area, ma siano addirittura opera degli stessi artigiani,” aggiunge Pentz.

L’ipotesi, non c’è che dire, è affascinante. Ma per provarla serve uno studio più ampio e articolato e non semplici congetture. Qualche elemento potrebbe arrivare dalla scansione 3D del reperto, già pianificata, che permetterà di evidenziare e mettere a confronto i dettagli.

Frammenti dell’elmo di Sutton Hoo prima che venisse riassemblato. Foto: The British Museum (CC-BY-SA 4.0).Replica dell’elmo di Sutton Hoo. Foto: The Trustees of the British Museum (licenza CC BY-NC-SA 4.0).

La Danimarca potenza del Nord?

Secondo gli esperti del Museo danese, la scoperta – se confermata – potrebbe ridefinire il contesto e gli equilibri di potere nell’Europa settentrionale del VII secolo. Se davvero l’elmo di Sutton Hoo avesse un’origine danese, spiegano, ciò significherebbe che l’arcipelago della Fionia meridionale all’epoca era un centro artigianale di grande rilievo. E che la Danimarca rivestiva un ruolo economico e produttivo ben più importante di quanto finora ritenuto. “Certo, in Danimarca non abbiamo trovato, almeno ad oggi, sepolture magnifiche e spettacolari come quella di Sutton Hoo,” spiega Pentz. “Ma ciò non significa non fosse una potenza. Potrebbe anzi aver rappresentato il perno su cui ruotava tutto il nord Europa, con la Svezia e l’Inghilterra come avamposti.”

La teoria degli archeologi danesi, seppur affascinante, deve ovviamente ancora trovare gli opportuni riscontri scientifici. Va dimostrato, ad esempio, che la “patrice” sia stata prodotta sul posto e non sia giunta in Danimarca, ad esempio, attraverso le rotte commerciali oppure trasportata da qualcuno. Pentz però ha un’idea ben chiara in mente: “Solitamente attribuiamo l’ascesa della Danimarca al X secolo, quando il regno fu unificato da Harald Gormsson detto Blåtand – da noi noto come Aroldo Dente Azzurro, ndr -, ma forse potrebbe essere stata una grande potenza già nel VII. Questa scoperta sfida le vecchie teorie, ora sta a noi provarla”.

Egitto, scoperta la tomba di un comandante di Ramses III sepolto con scettro cerimoniale e anello d’oro

Elena Percivaldi

Splendida scoperta in Egitto. Una missione archeologica condotta dal Supreme Council of Antiquities (SCA) ha riportato alla luce a Tell Roud Iskander, nella regione di Maskhuta, governatorato di Ismailia, la tomba di un comandante militare dell’epoca di Ramses III (ca. 1218/1217 a.C. – 1155 a.C.), secondo re della XX Dinastia. Oltre a questa eccezionale sepoltura, gli archeologi hanno trovato altre tombe – collettive e individuali – risalenti al periodo greco-romano e tardo, reperti che aprono nuove prospettive sulla storia militare e culturale dell’antico Egitto. Il ritrovamento sottolinea infatti l’importanza strategica del sito. posto a protezione dei confini orientali durante il Nuovo Regno (1550-1070 a.C.), un’epoca di splendore e conquiste.

Punte di freccia e di lancia in bronzo (foto: Ministry of Tourism and Antiquities)

Mohamed Ismail Khaled, segretario generale dell’SCA, ha definito il sito “un baluardo difensivo cruciale,” evidenziando l’importanza di Tell Roud Iskander come avamposto fortificato. “Castelli e fortezze proteggevano l’Egitto da est, e questa tomba dimostra il prestigio del suo occupante,” ha dichiarato Khaled. Tra i reperti, punte di freccia in bronzo e frammenti di uno scettro cerimoniale confermano l’alto rango militare del comandante, la cui identità resta ancora avvolta nel mistero.

Una tomba monumentale e il suo riutilizzo

La tomba dopo lo scavo (foto: Ministry of Tourism and Antiquities)

La tomba, costruita in mattoni di fango, si compone di una camera funeraria principale e tre stanze aggiuntive, con pareti interne rivestite di intonaco bianco. “L’architettura riflette lo status del defunto,” spiega Mohamed Abdel Badie, capo del settore delle antichità egizie dell’SCA. Durante gli scavi, è emerso uno scheletro umano coperto da uno strato di cartonnage — un particolare tipo di involucro che copriva le mummie ed era realizzato con fibre di tessuto e fogli di papiro tenuti insieme da un collante —databile a un’epoca successiva. Ciò suggerisce che la tomba sia stata riutilizzata in un secondo momento, forse durante il Periodo Tardo (664-332 a.C.).

Tombe greco-romane (foto: Ministry of Tourism and Antiquities)

Tra i tesori rinvenuti spiccano vasi di alabastro – ben conservati – decorati con incisioni e tracce di colore, due dei quali recano i cartigli di Horemheb, celebre faraone guerriero della XVIII Dinastia. Ma i pezzi più spettacolari sono un anello d’oro con il cartiglio di Ramses III, un gran numero di perle e pietre colorate e una scatolina in avorio, a significare la presenza di un legame diretto con i grandi sovrani del Nuovo Regno.

L’anello con il cartiglio di Ramses III e sotto una collana (foto: Ministry of Tourism and Antiquities)

Sepolture greco-romane e amuleti del Periodo tardo

Accanto alla tomba principale del condottiero, gli archeologi hanno scoperto anche fosse comuni e sepolture individuali più recenti, risalenti ai periodi greco-romano e tardo. “Abbiamo rinvenuto un gran numero di resti umani deposti in tombe collettive,” racconta Qutb Fawzy Qutb, responsabile delle antichità del Basso Egitto e del Sinai. “Nelle sepolture individuali del Tardo Periodo abbiamo trovato amuleti raffiguranti le divinità Tueret e Bes e l’Occhio di Udjat, a testimonianza del perdurare delle tradizioni religiose egizie anche sotto influenze esterne.”

Amuleti a forma di scarabeo (foto: Ministry of Tourism and Antiquities)

Questi reperti contrastano con la grandiosità della tomba del comandante e mostrano l’evoluzione delle pratiche funerarie in Egitto attraverso i secoli. La presenza di amuleti che rimandano alla protezione e alla fertilità riflette invece il perdurare di credenze radicate fino all’arrivo dei Greci e dei Romani.

Un sito strategico e una scoperta epocale

Situato nella fertile regione di Maskhuta, Tell Roud Iskander rappresentò un punto nevralgico del sistema di difesa dell’antico Egitto. “La scoperta ridefinisce la nostra comprensione del Nuovo Regno,” sottolinea Khaled. “Le fortificazioni qui costruite proteggevano l’accesso al Delta e al Sinai, aree vitali per il commercio e la sicurezza.” Il corredo di prestigio trovato nella tomba del comandante ne confermano il ruolo quale figura chiave nella gerarchia dei funzionari di Ramses III, l’ultimo grande faraone guerriero, celebre per aver respinto gli “invasori del Mare” nel XII secolo a.C.

Questi nuovi, eccezionali ritrovamenti arricchiscono il già straordinario patrimonio culturale egiziano. Ma c’è da scommettere che il sito, esplorato con tecniche avanzate quali la tomografia elettrica, riserverà molto presto ulteriori sorprese.